Inizialmente le varietà di uva da vino più diffuse nell’antica Roma erano di origine greca, coltivate in Sicilia e nella Magna Grecia, le “Aminee” e le “Nomentanae“. Erano uve ricche di colore, da cui si ricavavano vini pregiati. Le “Apianae o Apiciae” erano uve a sapore moscato, molto aromatiche, che quando erano mature attiravano le api. Viti più produttive e resistenti provenivano dalle province, quali la “Balisca” (originaria, secondo Columella, di Durazzo in Albania), la “Rhaetica” molto diffusa nel veronese e la “Buririca“, che ha dato origine ai vigneti di Bordeaux. Sempre presente era la vite “Labrusca“, ossia selvatica, dalla quale si ottenevano vini di qualità più scadente. Plinio il Vecchio (23-79 d.c.) scrive nella “Naturalis Historia” che almeno due terzi della produzione totale proveniva dall’Impero ed elenca 91 vitigni diversi con 195 specie di vini. Tra questi 50 li definisce generosi, 38 oltremarini, 18 dolci, 64 contraffatti, 12 prodigiosi. Catone afferma invece di conoscere 8 qualità di vino, Varrone 10, Virgilio 15, Columella 58. I vini più diffusi nell’antica Roma provenivano dal Lazio, dalla Campania e dalla Sicilia. Alla fine della repubblica erano noti e ricercati il Falernum, il Caecubum e l’Albanum, che rimasero a contendersi i prime tre posti fino all’inizio del regno di Augusto. Sotto Augusto buona reputazione ebbero anche i vini di Setia e di Sorrento, il Gauranum, il Trebellicum di Napoli e il Trebulanum.
La diffusione del vino in Italia e nell’impero Romano
A Roma ricchissimo era il commercio del vino. Basti pensare al Testaccio, una collina alta 35m e con un perimetro di 850m alla base, poco distante dal Tevere, la cui origine deriva dallo scarico dei cocci delle anfore vinarie e olearie gettati via dai mercati del vicino Emporium. L’espansione della viticoltura in Sicilia e nell’Italia meridionale ben presto fece crollare le importazioni di vino dall’Egeo e dalla Grecia. Il primo vino a divenire famoso per la sua provenienza fu il Falernum, attorno al al 120 a.C. Secondo Plinio il Vecchio i vini italiani cominciarono a diffondersi dopo l’anno 600 di Roma, con l’arrivo in Italia di schiavi orientali, più esperti di vigneti e di vinificazione dei romani e con l’introduzione di nuovi vitigni di qualità e di nuove tecniche viticole. Già nel III sec. a.c. l’Italia non si limitava più a produrre vino per i fabbisogni interni, ma anche per l’esportazione. La viticoltura continuò poi a svilupparsi fino prima metà del II sec a.c. Nel II secolo d.C. i raccolti divennero sempre più abbondanti, fino a raggiungere livelli di vera e propria sovrapproduzione. Come i Greci avevano portato la viticoltura in Italia, così i Romani la trasmisero nel resto dell’Europa. Essi portarono la vite in Provenza, nel Nord della Francia, in Germania, sul Reno e sulla Mosella. L’impossibilità di smaltire il prodotto portò nel tempo all’abbandono di tanti vitigni italiani, e dell’agricoltura in generale in quanto, non vincendo più guerre, non si avevano più schiavi. Per giunta la Spagna stava cominciando a diventare un grosso produttore di vino, e per produrre vino si era tolta la produzione di grano procurando fame a tutto l’Impero. Nei primi due secoli dell’Era Cristiana, l’Italia diventò così il maggiore importatore di vino dell’Impero facendolo pervenire dalla Grecia, dalla Spagna e dalla Gallia.