Il vino – come scriverà il barone nel 1870 – “riceve dal Sangioveto la dose principale del suo profumo e una certa vigoria di sensazione; dal Canaiolo l’amabilità che tempera la durezza del primo, senza togliergli niente del suo profumo per esserne pur esso dotato; la Malvagia, della quale si potrebbe fare a meno per i vini destinati all’invecchiamento, tende a diluire il prodotto delle prime due uve, ne accresce il sapore e lo rende più leggero e più prontamente adoperabile all’uso della tavola quotidiana”.
Ricasoli, dettando le norme della vinificazione, vuole i raspi separati dalle vinacce, chiusi i tini per la fermentazione, rapida la svinatura: successivamente “si stringono le vìnacce, e il vino che n’esce si riunisce al primo in botti, nelle quali prosegua la fermentazione”.
L’equilibrio dell’uvaggio, basato su vitigni perfettamente assuefatti a clima e terreni chiantigiani, e -la vinificazione razionale sono i presupposti di un vino da pasto d’apprezzabile e costante livello qualitativo, progettato per esser immesso al commercio in breve termine: una rivoluzione enologica che, oltre a fare la fortuna del Chianti in patria, lo imporrà, a cavallo fra Ottocento e Novecento, come uno dei pochi vini italiani largamente apprezzati all’estero (specie in Inghilterra), grazie anche alla buona resistenza al trasporto.
Laureato in Chimica, Sommelier AIS. Si interessa di biochimica ed enologia, di enografia e storia del vino e della vite, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti che legano la produzione vitivinicola al territorio e alla vicende umane. Ha fondato Quattrocalici nel 2011 ed è l'autore della struttura e del progetto del portale e di tutti i suoi contenuti. Fin da allora si occupa attivamente di marketing e comunicazione del vino e di divulgazione nel campo dell'enogastronomia.
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