La trasformazione dell’uva in vino non è mai un processo puramente spontaneo. Sebbene il concetto di “vino naturale” abbia acceso i riflettori sull’essenzialità e la purezza, la realtà della vinificazione richiede spesso l’intervento tecnico attraverso additivi enologici, strumenti indispensabili per garantire qualità, stabilità e sicurezza microbiologica. Questi additivi sono ammessi dalla normativa comunitaria e usati, entro limiti precisi, per correggere squilibri del mosto, facilitare la fermentazione o stabilizzare il vino finito. La loro presenza deve essere conosciuta, e talvolta anche dichiarata, non solo per motivi tecnici ma anche per le possibili ripercussioni sulla salute di alcuni consumatori.
La Correzione del Mosto
Tra gli interventi sul mosto, i primi additivi che entrano in scena sono:
1. Anidride solforosa (SO₂)
È senza dubbio l’additivo più emblematico dell’enologia moderna. Usata fin dal mosto sotto forma di metabisolfito, ha una triplice funzione: antiossidante, antimicrobica e antiossidasica. Protegge il mosto da ossidazioni precoci e da contaminazioni batteriche o fungine. Tuttavia, l’anidride solforosa è anche potenzialmente irritante per soggetti asmatici e può provocare reazioni allergiche nei solfito-sensibili. Per questo la normativa impone limiti precisi (espressi in mg/L) e l’obbligo di indicarla in etichetta quando supera i 10 mg/L.
2. Acido tartarico, malico, citrico
Usati per correggere l’acidità del mosto quando questa è insufficiente. Tra questi, l’acido tartarico è il più stabile, mentre il malico può essere degradato durante la fermentazione malolattica. L’acido citrico, invece, è poco impiegato nei vini destinati all’invecchiamento perché può essere metabolizzato da alcuni batteri in acido acetico. Nessuno di questi presenta problemi tossicologici per la salute umana alle dosi consentite.
3. Zucchero (saccarosio o mosto concentrato rettificato)
Aggiunto per aumentare il grado alcolico potenziale (pratica detta arricchimento), è consentito in determinate zone e annate. La saccarificazione eccessiva, oltre a modificare il profilo del vino, può risultare ingannevole per il consumatore se non correttamente normata, ma non presenta rischi diretti per la salute.
4. Lieviti selezionati e attivatori di fermentazione
I lieviti Saccharomyces cerevisiae selezionati vengono impiegati per guidare fermentazioni regolari e prevedibili, spesso accompagnati da nutrienti a base di ammonio, fosfati e tiamina. L’uso di attivatori riduce il rischio di arresti fermentativi, ma dosaggi eccessivi o impropri possono provocare fermentazioni “turbolente” o aumentare la produzione di metaboliti indesiderati, come l’acetato di etile. Nessun rischio diretto per la salute è associato a questi nutrienti, ma è necessaria competenza nella loro gestione.
Controllo della Vinificazione
Durante la vinificazione, il controllo di chiarifica, stabilità e pulizia del vino impone l’uso di altri coadiuvanti:
5. Bentonite e chiarificanti proteici (albumina, caseinato, gelatina)
La bentonite, argilla naturale, viene usata per la stabilizzazione proteica e la chiarifica. È inerte e sicura. Diverso il discorso per le proteine animali (albumina d’uovo, caseina del latte, colla di pesce, gelatina animale): sebbene presenti in tracce infinitesimali nel prodotto finale, possono costituire un rischio allergenico per soggetti sensibili. Per questo l’Unione Europea ha imposto, in certi casi, la loro dichiarazione in etichetta.
6. Carbone decolorante e PVPP
Utilizzati per la rimozione di composti ossidati, odori sgradevoli o eccessi di colore (nel caso di difetti). Il carbone attivo può ridurre non solo i difetti ma anche gli aromi positivi, perciò il suo uso richiede cautela. La PVPP (polivinilpolipirrolidone) è un polimero sintetico efficace contro i fenoli ossidati: non lascia residui tossici ma deve essere usata con competenza per non “svuotare” il vino.
7. Enzimi enologici
Pectinasi, glucanasi e altri enzimi migliorano l’estrazione di mosto, aromi e colore. Derivano da fermentazioni di microorganismi e non sono pericolosi per la salute, ma devono essere purificati e certificati. Alcuni vini destinati a consumatori allergici possono escluderne l’uso per maggiore tutela.
Correzione del Vino
Sul vino finito, infine, si interviene spesso con trattamenti stabilizzanti e correttivi:
8. Acido ascorbico
Usato come antiossidante secondario, spesso in combinazione con la SO₂, previene la degradazione del colore e degli aromi nei vini bianchi. È una forma sintetica di vitamina C e, in piccole dosi, non è tossico, ma un uso eccessivo può provocare reazioni redox indesiderate, soprattutto in assenza di solfiti.
9. Gomme arabiche
Stabilizzano la materia colorante, riducono l’astringenza e migliorano la sensazione di morbidezza. Sono considerate sicure, ma devono essere microbiologicamente pure, altrimenti possono generare torbidità o rifermentazioni.
10. Sorbato di potassio e acido sorbico
Utilizzati per bloccare la fermentazione di zuccheri residui nei vini dolci. In presenza di lieviti possono dare origine a odori sgradevoli (simili alla gerbera). Anche se non tossici alle dosi legali, possono provocare lievi reazioni in soggetti molto sensibili e non sono sempre ben visti dal consumatore attento.
11. Desolforazione e correzione rameica
In caso di eccesso di idrogeno solforato o mercaptani (odori di uovo marcio o gomma bruciata), si ricorre a preparati a base di rame. Il rame è efficace ma, essendo un metallo pesante, deve essere attentamente dosato e completamente rimosso per evitare problemi tossicologici. Le analisi finali sul vino devono garantire residui ben al di sotto del limite (1 mg/L nella UE).
In conclusione, l’utilizzo di additivi in enologia è una pratica regolamentata, utile e talvolta indispensabile per ottenere vini sani, stabili e gradevoli. Tuttavia, la gestione consapevole di tali sostanze è fondamentale, sia dal punto di vista tecnico che etico. L’enologo moderno deve combinare competenza scientifica e sensibilità per garantire vini non solo buoni, ma anche trasparenti e sicuri per il consumatore.