Additivi e correzioni nel vino
In primo luogo definiamo cosa sono gli additivi e come vengono impiegati nella produzione del vino. Molti prodotti alimentari come la birra, i succhi di frutta e il vino sono soggetti ad alterazioni ed ossidazioni, e lo scopo degli additivi non è di adulterare il vino, ma di stabilizzarlo per aumentarne la conservabilità e il profilo organolettico. Molti additivi per il vino sono stati usati per centinaia di anni senza ripercussioni negative sulla salute. Molte di queste sostanze non sono poi veri e propri additivi, perchè la loro funzione è solamente quella di favorire la coagulazione e il successivo allontanamento di sostanze non desiderate dal vino. Per additivi in senso lato intendiamo tutte le sostanze che vengono aggiunte durante la trasformazione del mosto in vino, nelle diverse fasi della vinificazione. Gli scopi per i quali le diverse sostanze (additivi) vengono aggiunte al mosto o al vino finito sono essenzialmente due: trattamenti di processo e correzioni.
I trattamenti nella produzione del vino
I “trattamenti” ai quali i mosti vengono sottoposti durante la loro trasformazione in vino possono essere sia di tipo fisico che di tipo chimico. Per trattamenti fisici intendiamo quelle operazioni come la centrifugazione, alcune operazioni di concentrazione, il raffreddamento e la chiarificazione e filtrazione. Queste ultime due operazioni vengono effettuate anche mediante l’utilizzo di sostanze coagulanti aggiunte ai vini, che però alla fine del processo vengono opportunamente rimosse per cui come già detto non sono in realtà additivi. Per trattamenti chimici intendiamo invece l’aggiunta al vino di sostanze diverse, ai fini di favorire la fermentazione o inibirla, o a scopi antisettici, antiossidanti o chiarificanti.
I lieviti selezionati e le vitamine
La fermentazione alcolica è svolta dall’azione dei lieviti, un microrganismi eucariotici che trasformano lo zucchero in alcol. I lieviti si trovano naturalmente nell’aria e vengono trasportati dal vento e dagli insetti, depositandosi sulla superficie delle piante e sulle bucce dell’uva, dalla quale entreranno in contatto con il succo dopo la pigiatura, provocando una fermentazione spontanea. Nelle attrezzature di cantina sono poi sempre presenti lieviti residui che in presenza di zuccheri possono far partire processi fermentativi. Questi lieviti sono generalmente definiti come lieviti autoctoni, indigeni o selvaggi. Queste popolazioni di lievito sono inoltre in continua evoluzione, rendendo difficile se non impossibile ottenere un risultato riproducibile in fase di fermentazione. La soluzione è stata trovata creando in laboratorio delle colture selezionate di lieviti per ottenere migliore controllo sulla fermentazione e vini di qualità più fine. Nonostante la fermentazione svolta con i lieviti autoctoni possa essere vista come più naturale o tradizionale, l’impiego di lieviti selezionati consente di ottenere vini di maggiore qualità, finezza ed eleganza e dotati di migliore stabilità. I lieviti selezionati maggiormente utilizzati appartengono alla famiglia degli Saccharomyces Cerevisiae per la fermentazione di mosti normali e dei Saccharomyces Bayanus per la fermentazioni di mosti con elevato contenuto di zuccheri o per la produzione di spumanti metodo classico. L’azione dei lieviti è favorita dalle vitamine, dai minerali o da qualsiasi sostanza che aiuti a mantenerli vivi nel succo d’uva durante la fermentazione. Ad esempio, la tiamina cloridrato è una vitamina del gruppo B che aiuta a mantenere vivi i lieviti nei vini in presenza di alcol superiore al14%.
L’anidride solforosa e i solfiti
Il principale di questi additivi è l’anidride solforosa, che viene aggiunta in diverse fasi della vinificazione appunto per la sua azione di inibizione dei lieviti (quindi per arrestare o inibire fermentazioni non desiderate), per la sua capacità di solubilizzare i pigmenti durante la macerazione, prima o dopo i travasi e prima dell’imbottigliamento, per la sua azione antibatterica e antiossidante per l’azione chiarificante che facilita la separazione e la separazione di sostanze colloidali che verranno poi allontanate tramite filtrazione. L’idea che i solfiti siano nocivi è in realtà un mito. La maggior parte dell’anidride solforosa in cui questi sali si trasformano una volta disciolti si separa per evaporazione dal vino, essendo una sostanza volatile. Il contenuto medio di anidride solforosa nel vino, da 40 a 150 ppm (parti per milione o milligrammi/litro) non ha conseguenze sulla salute, salvo casi di ipersensibilità, che affliggono comunque meno dell’1% della popolazione.
Filtrazione e chiarificazione del vino
Dopo la fermentazione, il vino deve passare attraverso una fase di di stabilizzazione. La vinificazione pura e semplice lascia dietro di sé sostanze indesiderate che potrebbero produrre effetti organolettici negativi. Un esempio sono i lieviti esausti ed altre sostanze postfermentative. E’ pertanto necessario procedere alla separazione (chiarificazione) di queste sostanze e al loro allontanamento (filtrazione). Nei tempi antichi si usava l’albume d’uovo per far precipitare le sostanze proteiche dal vino, e le fecce risultanti venivano rimosse mediante travaso. Oggi l’albumina e le altre sostanze coagulanti e chiarificanti di origine animale, come gelatina e colla di pesce, proteasi e caseinati tendono ad essere sostituita da additivi di origine vegetale che svolgono la stessa funzione.
Le correzioni nel vino e nei mosti
Sia i mosti prima della vinificazione che i vini subito dopo la fermentazione possono subire delle correzioni, ossia dei trattamenti che vengono effettuati allo scopo di migliorare le caratteristiche organolettiche del vino per renderle conformi al risultato prefisso. L’origine della diffidenza del pubblico verso queste pratiche ha origini lontane, legate soprattutto agli scandali degli anni ’80, i più famosi dei quali sono quelli del vino al metanolo e del vino all’antigelo.
Nel 1985 in Germania gli organismi di controllo qualità scoprirono in alcuni vini di fascia bassa la presenza di un solvente, il glicole dietilenico, usato come antigelo nell’industria ed aggiunto al vino per aumentarne dolcezza e morbidezza. Il glicole dietilenico è un polialcol infermentescibile, che sopra determinate concentrazioni risulta tossico all’ingestione. Nel 1986 in Italia numerosi produttori di vino di fascia bassa pensarono di aumentarne il grado alcolico aggiungendo del metanolo, alcol tossico anche in bassissime concentrazioni.
Questi episodi hanno danneggiato moltissimo l’immagine del vino come prodotto naturale e hanno favorito l’avvento di scuole di pensiero che promuovono la definizione di vini naturali come esenti da trattamenti e correzioni.
In realtà le correzioni nel mosto e nel vino, se limitate all’aspetto migliorativo e non finalizzate ad ottenere caratteristiche non presenti nel prodotto naturale, sono un aspetto produttivo essenziale per ottenere riproducibilità e stabilità nelle caratteristiche organolettiche dei vini di qualità. Nonostante ciò, su di esse si glissa regolarmente quando si parla della vinificazione come riferita ad un prodotto specifico e non in termini puramente generici o didattici. Vediamo quindi quali sono le forme più comuni di correzione delle caratteristiche dei mosti e dei vini.
La concentrazione
La concentrazione è un’operazione che consiste nell’eliminazione di una parte dell’acqua contenuta nei mosti per aumentarne la concentrazione sia a livello di zuccheri, ossia aumentare il grado alcolico potenziale che a livello di estratti, ottenendo mosti più concentrati in sostanze aromatiche e minerali. La separazione del’acqua potrebbe avvenire per evaporazione con l’ausilio del vuoto, ma il modo più moderno ed efficace è l’utilizzo di concentratori ad osmosi inversa, che utilizzano il fenomeno dell’osmosi per allontanare, tramite opportune membrane, parte dell’acqua dal mosto.
La correzione del grado zuccherino
Lo zuccheraggio è il processo di aggiunta di zucchero di canna al succo d’uva per aumentare il livello di alcol svolto nel vino finito. L’aggiunta di zucchero non rende un vino più dolce perché lo zucchero viene consumato dal lievito mediante la fermentazione alcolica. È una prassi legale nelle aree in cui l’uva fatica a maturare, come la Francia o la Germania, mentre è illegale nella maggior parte degli altri paesi. In questi casi produttori possono ottenere lo stesso risultato tramite dei tagli con vini a gradazione alcolica maggiore, ove possibili, oppure aggiungendo mosti concentrati resi infermentescibili tramite filtrazione o aggiunta di solfiti. Questi ultimi permettono anche la correzione del colore e di altri aspetti organolettici del vino.
Correzione del tannino
Il tannino è una delle 4 caratteristiche (assieme ad acidità, alcol e zuccheri residui) che rendono i vini resistenti all’invecchiamento. Il tannino del vino proviene soprattutto dalla sua estrazione dai vinaccioli in fase di pressatura o macerazione. Una parte dei tannini (tannini gallici) viene anche ceduta al vino dai contenitori di rovere quando il vino è fatto maturare in botti di piccola dimensione (barriques) soprattutto se nuove (di primo passaggio). I tannini conferiscono al vino sensazioni di astringenza, per cui nel caso la si voglia contenere è possibile ridurne il contenuto ricorrendo ad azioni si coagulazione e separazione. L’utilizzo di barrique come contenitore per la maturazione del vino conferisce allo stesso anche aromi terziari, quali sensazioni speziate (soprattutto vaniglia) e di tostatura che contribuiscono alla complessità olfattiva del vino. E’ possibile ottenere lo stesso risultato in modo più efficace e rispettoso dell’ambiente ricorrendo all’aggiunta di trucioli di quercia opportunamente trattati al vino in fase di affinamento, per poi separarli una volta esaurita la cessione delle sostanze aromatiche. I trucioli di quercia non saranno romantici come una cantina piena di botti di rovere, ma sono sicuramente più sostenibili per l’ambiente e più economici da trasportare. I tannini possono anche venire aggiunti al vino in forma di additivi, estratti dagli stessi vinaccioli o dalle vinacce o da legno di quercia. I loro effetti sul vino sono molteplici, tra i quali, oltre a quelli sensoriali, vi sono la stabilizzazione del vino alle ossidazioni e al calore, l’eliminazione di composti solforati dall’odore sgradevole, il controllo dell’attività batterica e dell’attività delle muffe.
Correzione dell’acidità
L’acidità del vino è fondamentale, sia dal punto di vista sensoriale che per la sua conservazione. Quando l’annata consente di effettuare la vendemmia in perfette condizioni di concentrazione a livello di acidi e di zuccheri, i vini che se ne ottengono saranno naturalmente in equilibrio. In casi diversi, è possibile da una parte ridurre il contenuto in acidi ricorrendo all’aggiunta di sostanze tampone come i carbonati (ad esempio nelle aree più fredde, dove l’uva fatica a maturare). D’altra parte, quando vi è carenza di acido, lo si può aggiungere come additivo, sia come acido tartarico o acido malico o acido citrico o una miscela di questi. L’aggiunta di acido è comune nelle regioni a clima più caldo.
Stabilizzazione
Oltre ai solfiti, vi sono anche altre sostanze stabilizzanti utilizzate sia in campo alimentare che in enologia. L’acetaldeide viene usata per la stabilizzazione del colore del mosto prima della concentrazione, mentre il dimetildicarbonato (DMDC) il cui impiego nei vini è stato di recente permesso dall’Unione europea, è un antisettico utilizzabile per garantire la stabilità microbiologica finale dei vini e viene utilizzato anche in succo d’arancia fresco, tè freddo aromatizzato e bevande gassata.
Gli additivi per il vino
I vari trattamenti e correzioni del mosto o del vino visti sopra prevedono l’impiego di un numero rilevante di additivi e coadiuvanti. Vediamo quali sono i principali e qual’è il oro ruolo.
Acido metatartarico
L’acido metatatartarico è il più diffuso coadiuvante per la stabilità tartarica del vino, ossia va a limitare la tendenza alla separazione per precipitazione dei sali tartarici che lascia nella bottiglia un fine residuo cristallino. In pratica l’acido metatartarico è una sostanza colloidale che inibisce la cristallizzazione dei sali. La sua aggiunta nel vino va fatta nella fase di pre-imbottigliamento, il giorno precedente alla microfiltrazione. L’utilizzo di questo acido additivo non è sia un’alternativa alla stabilizzazione tartarica, che avviene per trattamento a freddo o microfiltrazione ed è indispensabile per stabilizzare i vini.
Acido ascorbico
L’acido l-ascorbico, comunemente noto come vitamina C, è un acido organico naturalmente presente all’interno delle uve in bassa quantità, che a causa della sua elevata ossidabilità al momento della pigiatura viene praticamente consumato nella sua totalità. L’aggiunta di acido ascorbico ai vini è una pratica molto diffusa per il suo effetto antiossidante e per la prevenzione del vino da imbrunimenti e perdite di aromi. L’acido ascorbico non viene impiegato come acidificante perchè non è stabile nel tempo. L’acido ascorbico è sempre utilizzato in concomitanza con l’anidride solforosa, in quanto entrambi hanno funzione antiossidante ma lavorano in maniera molto diversa. L’effetto antiossidante dell’acido ascorbico è massimo prima della fermentazione alcolica e appena dopo di essa, tuttavia studi hanno dimostrato che una quantità di 10 g/hl in prima dell’imbottigliamento rende i vini bianchi giovani più freschi.
Gomma arabica
La gomma arabica è una gomma naturale che può aiutare sia per la stabilizzazione colloidale e tartarica di un vino, sia per ammorbidire i tannini ed aumentare la morbidezza. Essa viene utilizzata quasi esclusivamente nella vinificazione in rosso in quanto la sua attività si concentra sul bagaglio polifenolico di questi vini. La gomma arabica viene utilizzata da molti anni nell’enologia sia a livello amatoriale che nella preparazione dei grandi vini. E’ nota anche come gomma di acacia in quanto estratta da questa pianta. Come quasi tutte le gomme e le resine di origine vegetale, è prodotta dalla pianta in seguito a un processo naturale di “gommosi” che si attiva spontaneamente per rimarginare un vulnus (ferita) alla propria integrità superficiale. La duplice funzione della gomma arabica fa si che ci siano diverse tipologie di prodotto, alcune con maggiore carattere protettivo nei confronti delle precipitazioni dei polifenoli, altre con una grande azione di arrotondamento del gusto. La scelta del prodotto deve essere fatta in base alle esigenze dell’enologo. L’aggiunta di gomma arabica in un vino va fatta 12/24 ore prima dell’imbottigliamento, con la massa di vino in rimontaggio o agitazione.
Bentonite
La bentonite è un silicato di alluminio, da sempre utilizzato nei vini per la sua capacità una volta aggiunta al in vino di legarsi alle proteine facendole precipitare. La bentonite è formata,da silicati disposti in lamelle a cui sono legate molecole di sodio o di calcio. Una volta a contatto con l’acqua la bentonite si rigonfia caricandosi negativamente e attraendo le proteine. Il trattamento con bentonite è il solo metodo enologico di stabilizzazione proteica conosciuto, è ammesso anche nella vinificazione biologica e talvolta è utilizzato anche da produttori biodinamici. La bentonite viene usata prima della stabilizzazione tartarica per stabilizzare le proteine nel vino bianco. Viene utilizzata anche nel vino rosso dopo l’utilizzo di chiarificanti per la stabilizzazione colloidale. Un ulteriore uso della bentonite è nella spumantizzazione con metodo classico, dove piccole dosi di bentonite vengono aggiunte al liqueur de tirage per far si che i lieviti non aderiscano alla parete della bottiglia.
Caseina
Il caseinato di potassio, detto anche semplicemente caseina, è un chiarificante proteico per vini bianchi e rosati derivato dalla caseina, una proteina presente nel latte. Grazie alla sua carica positiva esso si lega ai tannini e composti polifenolici (catechine, proantocianidine e leucoantociani), che sono invece carichi negativamente, facendoli floculare (separare). Il caseinato di potassio ha quindi azione chiarificante ed è in grado di “ripulire” in maniera efficace il colore da imbrunimenti o dal “pinking” e di proteggere il gusto dei vini da retrogusti amari. Inoltre il caseinato reagisce con il ferro presente nel vino e aiuta a prevenire la casse ferrica, un problema per lo più legato alla vecchia enologia.
Gelatina
La gelatina è il prodotto della parziale idrolisi del collagene contenuto nelle pelli, nei tessuti connettivi e nelle ossa degli animali. In enologia viene impiegata come coadiuvante proteico per il cosiddetto “collaggio” dei vini, mediante il quale la gelatina, legandosi con il materiale polifenolico, lo sottrae, stabilizzando il colore del vino e ammorbidendone il gusto. Il collaggiu del vino non può essere considerato come una semplice operazione di chiarifica, viste le sue conseguenze anche sulla stabilità colloidale e sulle caratteristiche
organolettiche del vino stesso.
Colla di pesce
La colla di pesce, o ittiocolla, è anch’essa una gelatina e fa parte della classe di chiarificanti di origine animale largamente utilizzati nel vino per raggiungere la stabilità colloidale ma anche per intervenire sulle sue note visive e gustative. La colla di pesce è derivata da lische o dalla vescica natatoria dei pesci e subisce opportuni trattamenti per renderla pura e completamente inodore. La colla di pesce si presenta in forma solida, in polvere o in fogli, è prodotta da molte aziende enologiche ed è di larga diffusione. La colla di pesce può essere utilizzato sia nella vinificazione in bianco, per rimuovere materiale polifenolico che può risultare amaro o ossidabile, sia nella vinificazione in rosso per rimuovere i tannini troppo astringenti e reattivi. La colla di pesce è anche largamente utilizzata per la produzione di vini rosati, in quanto rende molto brillante e stabile il colore, ma allo stesso tempo dona una purezza olfattiva difficilmente raggiungibile senza questo coadiuvante.
Sol di silice
Il sol di silice è una dispersione acquosa di biossido di silicio (silice), viene estratto dalle rocce dolomitiche e utilizzato nella chiarificazione per vini o mosti torbidi. E’ utilizzato per le chiarificazioni dei mosti. Essendo a carica elettrica negativa va sempre aggiunto prima della gelatina o della colla di pesce e migliora la compattazione delle fecce, accelera la chiarificazione ed evita ogni surcollaggio. Contrariamente ai tannini, non conferisce durezza ai vini bianchi.
Enzimi
Gli enzimi sono proteine complesse, costituti da una parte proteica detta apoenzima e una non proteica detta coenzima, data di solito da una vitamina, responsabile delle reazioni chimiche. Caratteristica peculiare degli enzimi è la specificità della loro azione. Gli enzimi pectolitici agiscono sulla pectina, un polisaccaride presente nella polpa dell’uva, che liberata nel mosto durante le operazioni di pigiatura e pressatura provoca un aumento della sua viscosità, rendendo le operazioni di chiarifica difficoltose. L’obiettivo principale dell’aggiunta di enzimi pectolitici è di aumentare la velocità di degradazione delle pectine, riducendo già dopo poche ore la viscosità del mosto. Gli enzimi di macerazione svolgono invece un’azione di disgregazione delle strutture cellulari dell’uva e interagiscono nella dinamica dell’estrazione permettendo la liberazione di composti tannici e polisaccaridici e consentendo un veloce avvio delle reazioni chimiche tra gli antociani, tannini e polisaccardi. L’effetto dell’enzima nella vinificazione in rosso viene valutato in base all’intensità colorante e alla morbidezza e stabilità dei polifenoli. Nella vinificazione in bianco l’obiettivo è di favorire la maggiore estrazione di precursori aromatici varietali e polisaccaridi. Infatti molte sostanze odorose che compongono l’aroma del vino sono presenti nel vino sotto forma glicosidata, ossia sono legate alla molecola di zucchero, la cui presenza rende tali composti inodori. L’aggiunta dell’enzima β-glicosidasi, che scinde i legami tra il composto odoroso e lo zucchero, permette di liberare il potenziale aromatico varietale del vino, che rimarrebbe altrimenti in buona parte nascosto.
Tannini
L’uso del tannino di galla (derivante dalla corteccia del legno) o di castagno veniva un tempo principalmente effettuato per favorire la chiarificazione dei mosti in combinazione con varie proteine e per rimediare all’ipercollatura dei vini bianchi. I tannini hanno però anche un’elevata incidenza sulle caratteristiche gustative dei vini. I tannini sono presenti nell’uva, sia nelle bucce che nei vinaccioli ed hanno la caratteristica di evolvere nel tempo, combinandosi sia fra loro, sia con gli antociani e le mannoproteine rilasciate dalle pareti dei lieviti e perdondo in tal modo le loro caratteristiche più aggressive. Il caso dei tannini idrolizzabili estratti da vari vegetali ed eventualmente aggiunti al vino è invece del tutto diverso: essi non hanno la capacità di combinarsi, né con gli antociani, né con i tannini del vino, per cui il loro effetto sensoriale è da valutare con molta più attenzione. I tannini contribuiscono anche alla struttura del vino, ma è necessario qualche tempo perché si armonizzino completamente in esso e sono quindi da sconsigliarsi sui vini di pronta beva. I tannini aggiunti forniscono miglioramenti gustativi soprattutto nelle annate difficili, quando la qualità dei vini risulta relativamente compromessa. I tannini aiutano anche nella protezione dalle ossidazioni. Infatti i vini rossi, ricchi di tali componenti, risentono molto meno (anzi traggono beneficio) di modeste ossidazioni. Da qui l’uso dei tannini aggiunti per proteggere i vini dai fenomeni degenerativi legati alle ossidazioni, sia nel corso dell’affinamento in legno, sia durante tutti quei trattamenti che possono portare il vino a contatto con l’aria (i travasi, le chiarificazioni, le filtrazioni, ecc.). Inoltre l’aggiunta di tannini può incidere favorevolmente sulla tonalità del colore nei vini affinati in barriques già usate, evitando fenomeni di invecchiamento precoce e di maderizzazione. I tannini inoltre, in presenza di acidi si combinano con i composti solforati dall’odore sgradevole ed il tenore in tali composti indesiderati diminuisce in modo notevole se si addizionano tannini. I tannini hanno anche azione antibatterica, con l’effetto di inibizione sui batteri acetici, ma molto più limitato sui batteri lattici. I tannini tendono anche in sinergia con la solforosa a limitare i rischi legati alla laccasi, un enzima prodotto dalla Botrytis (muffa grigia) che pregiudica lo sviluppo degli aromi varietali e dei sono efficaci nel coagulare le proteine dei vini e consentono di ridurre o evitare l’impiego della bentonite sui vini. Le medesime conclusioni sono valide nel caso di presenza di proteine derivanti da surcollaggio.