Gli acidi nel vino
Gli acidi sono tra le sostanze più importanti presenti nel vino, secondi solo ad acqua e alcoli. Durante la degustazione, la presenza di acidi nel vino gli conferisce la caratteristica freschezza al palato, tipica dei vini bianchi e degli spumanti in generale. Un’elevata acidità “alleggerisce” il vino, facendolo sembrare meno corposo, mentre una bassa acidità sottolinea la morbidezza e la struttura del vino.
Acidità fissa e acidità volatile nei vini
L’acidità fissa comprende tutti quegli acidi che non evaporano a temperatura ambiente e che restano pertanto in soluzione nel vino. I principali sono l’acido tartarico, malico, lattico, citrico, succinico e, in misura minore, altri acidi organici. La loro origine può essere primaria, cioè dall’uva stessa (come nel caso dell’acido tartarico e del malico), oppure secondaria, cioè derivata da fermentazioni (come nel caso dell’acido lattico dalla fermentazione (traformazione) malolattica, o dell’acido succinico dalla fermentazione alcolica). L’acido tartarico è l’acido dominante nei vini europei, particolarmente stabile nel tempo e responsabile, assieme al malico, della percezione acida nei bianchi giovani. L’acido malico, più aggressivo al palato, tende a diminuire o scomparire nei vini che hanno svolto la fermentazione malolattica, trasformandosi in lattico, più morbido e rotondo. Gli acidi sono fondamentali per la conservazione del vino, per cui un vino longevo e adatto all’invecchiamento deve avere un’acidità fissa relativamente elevata.
L’acidità volatile, invece, è costituita prevalentemente da acido acetico (lo stesso dell’aceto), ma può includere anche altri acidi come formico, propionico e butirrico. Essa deriva in larga parte da processi fermentativi secondari o da contaminazioni microbiche indesiderate, come quelle dovute a batteri acetici o Brettanomyces in condizioni di ossidazione. Sebbene sia presente in ogni vino in quantità minime, un’eccessiva acidità volatile è indice di alterazione.
Tuttavia, in alcuni casi specifici – ad esempio in vini passiti o in certi vini ossidativi come lo Sherry o il Vin Jaune – una leggera componente volatile può contribuire positivamente al bouquet.
La soglia di percettibilità dell’acido acetico si colloca sui 0,7 g/l valore oltre il quale il vino deve considerarsi difettato per spunto o acescenza (insorgenza della fermentazione acetica dell’alcol etilico causata da acetobatteri).
L’acidità e il pH dei vini
Dal punto di vista analitico, in laboratorio l’acidità totale (che include l’acidità fissa ma non quella volatile) viene misurata tramite titolazione con una base (di solito idrossido di sodio) fino al punto di viraggio del blu di bromotimolo. Il risultato si esprime come grammi per litro di acido tartarico equivalente. L’acidità volatile si misura generalmente tramite distillazione e successiva titolazione dell’acido acetico, espressa in grammi per litro di acido acetico. I limiti legali dell’acidità volatile variano da paese a paese, ma in Europa sono generalmente fissati a 0,9 g/L per i rossi e 1,2 g/L per i bianchi e i dolci.
La scala chimica di misura dell’acidità è il cosidetto “pH” valore legato logaritmicamente alla concentrazione di ioni idorgeno (H+) e che per i vini si colloca normalmente nell’intervallo 2,5 – 4. A livello di contenuto equivalente in acido tartarico, l’acidità dei vini di qualità si colloca nell’intervallo tra 4,5 e 9 g/l.
A molti vini rossi e a taluni vini bianchi viene fatta svolgere, al termine del processo di vinificazione, la cosiddetta fermentazione (o conversione) malolattica, oprata da lattobatteri che converte l’acido malico (più aspro) ad acido lattico (meno forte), donando maggior morbidezza al vino.
La freschezza gustativa durante la degustazione dei vini
A livello organolettico, l’acidità fissa influisce sulla freschezza, sulla tensione gustativa, sulla longevità e sulla capacità di abbinamento gastronomico del vino. Un vino con acidità ben integrata risulta vivace, pulito e persistente, mentre un eccesso può renderlo spigoloso, duro, perfino sgradevole. Al contrario, una carenza di acidità – specialmente nei bianchi e nei rosati – può farlo apparire piatto, molle o corto. L’effetto dell’acidità è inoltre modulato da altri fattori: nei vini bianchi secchi l’acidità è spesso protagonista, mentre nei rossi tannici può essere mascherata o integrata con la struttura polifenolica.
L’acidità volatile, sul piano sensoriale, si manifesta con note pungenti e acetiche, soprattutto al naso, ma anche con sensazioni spiacevoli di solvente (etil acetato) se presente in concentrazioni superiori alla soglia di percezione (circa 0,7 g/L, variabile in base alla matrice). Tuttavia, in alcuni contesti olfattivi complessi, come nei vini ossidativi o in certi rossi di lunga macerazione, una volatilità controllata può aggiungere profondità e sfaccettatura aromatica.
L’acidità, in definitiva, è un’arma a doppio taglio: può elevare un vino alla grazia dell’equilibrio, ma se mal gestita può comprometterne qualità e finezza. Per questo motivo il controllo dell’acidità, dalla vendemmia alla fermentazione fino all’affinamento, è una delle sfide più delicate e decisive dell’enologia moderna.
I fase di degustazione di un vino, la scala utilizzata per definire la freschezza (acidità) dei vini è la seguente:
- vino piatto (scarsa acidità)
- vino abbastanza fresco
- vino fresco
- vino acidulo (acido oltre misura)