Gli Articoli di Quattrocalici

gli articoli di quattrocalici

I Muffati Orvietani nel contesto internazionale dei vini botitrizzati

Tutti gli articoli della sezione:
muffati orvietani

“Recentemente mi è capitato di interessarmi alla storia dei Muffati Orvietani, ovvero vini dolci prodotti con uve botitrizzate (attaccate dalla muffa “”nobile”” Botrytis cinerea) e provenienti dalla zona di Orvieto.
Nel disciplinare della DOC Orvieto è presente la tipologia “”Muffa nobile””, ma in zona vengono prodotti anche vini che per la scelta dei vitigni non ricadono nelle specifiche della doc, ma che sono universalmente riconosciuti come perle enologiche nel contesto dei vini “”muffati””. Ho cercato di ripercorrere la storia di questo tipo di vini per capire come mai in Italia solo in questa zona è dato di trovare vini botitrizzati in grado di tenere testa ai Sauternes Francesi o ai TBA Tedeschi.
Cerchiamo innanzitutto di conoscere meglio la Botrytis e capire in quali circostanze essa può assumere la forma di “”Muffa nobile””. Le spore di questo parassita fungino vengono disperse dal vento e dall’acqua piovana, attaccano l’uva ma anche altre piante da frutto e possono dare luogo a due diversi tipi di muffa. La “”muffa grigia”” si sviluppa in condizioni di elevata umidità, attacca gli acini già di per sè stessi deboli o appartenenti a specie di uva più sensibili agli attacchi fungini e ne  provoca la putrescenza fino al distacco dai grappoli. La “”muffa nobile”” richiede invece situazioni più calde e secche, in alternanza all’umidità mattutina in forma di nebbie e rugiada. L’umidità tende a far diffondere la muffa sugli acini sani, che tendono ad appassire e quindi a concentrarsi in grado zuccherino ed estratti. Quindi la combinazione di effetti climatici quali alternanza caldo/freddo e secco/umido, abbinata alla maggiore resistenza al fungo di alcune varietà di uva, può dare vita ad una vera e propria trasformazione delle uve.
La muffa attacca gli acini in maniera irregolare, diffondendosi da acino ad acino in ogni grappolo. Inizialmente, l’accrescimento del fungo a spese degli zuccheri dell’acino ne riduce il tenore zuccherino. Solo successivamente, la disidratazione farà si che si abbia quell’effetto di concentrazione degli estratti e creazione di glicerolo, destrina ed altre sostanze che danno la trama e la complessità olfattiva (miele, albicocca e sfumature tostate) che caratterizzano i vini botritizzati.
Già a partire dalla vendemmia quindi, i grappoli attaccati dalla muffa nobile richedono particolare attenzione, e spesso passsaggi successivi (tris) per selezione degli acini. In molti casi, il primo passaggio (“”premier tri””) viene considerato la selezione di maggiore qualità. Al termine del processo il grappolo viene totalmente disseccato (“”confit”” o “”rôti””).
Una volta in cantina, i problemi non sono finiti. I grappoli disseccati sono di difficile spremitura, e per ottenere una quantità ragionevole di prodotto, si deve procedere a pressature successive. La maggiore qualità si ha nella prima pressatura, mentre il tenore zuccherino è più elevato nelle pressature successive. Alla terza pressatura gli effetti dell’ossidazione sono già marcati, e questa andrebbe scartata. Poi, i guai continuano in fase di fermentazione. Infatti l’elevato tenore zuccherino tende ad inibire l’azione dei lieviti. Come se non bastasse, la botrytis contiene un potente antimicrobico, la botrycina che anch’essa concorre a rallentare la fermentazione. A questo si ovvia innalzando la temperatura e, ahimé, ricorrendo al bisolfito, di conseguenza questi vini presentano notoriamente elevati livelli di anidride solforosa.
Questo per quanto riguarda gli aspetti viticoli ed enologici. Per quanto riguarda la storia di questi vini, la loro scoperta è legata alla zona del Tokaji e all’invasione turca del 1650 che provocò l’abbandono dei vigneti. Un successivo tentativo di recuperare il raccolto attaccato dalla Botrytis ha portato alla scoperta delle muffe nobili. In ordine cornologico la seconda testimonianza data 1775, nelle tenute di Johannisberg nel Rheingau, anche qui in conseguenza di una mancata vendemmia. In Francia, la prima registrazione della muffa nobile risale al 1847, a firma del leggendario Chateau d’Yquem. Nella Loira, in Alsazia e in Austria troviamo altri esempi di territori baciati da questa fortuna. Tutte queste zone hanno in comune la presenza di laghi o corsi d’acqua, per i motivi sopra citati. Per quanto riguarda i vitigni, tutti si distinguono per la resistenza alle muffe, sia il Furmint ungherese, il Semillon e Sauvignon nel Sauternes, lo Chenin blanc nella Loira.
Torniamo ora ai muffati Orvietani. Anche qui la presenza del Lago di Corbara,creato dal corso del Tevere, e la coltivazione di un vitigno, il Grechetto, che presenta le caratteristiche prima descritte, crea la combinazione giusta per arrivare al miracolo della muffa nobile come prima illustrato. In molti casi questo vitigno è proposto in assemblaggio con il Sauvignon, anch’esso come già visto in possesso delle necessarie caratteristiche varietali. Da noi il contesto storico è più recente. La prima testimonianza ufficiale risale al 1933, come riportato anche nell’ultima versione del disciplinare della Doc Orvieto: “”Con riferimento all’introduzione del vino Orvieto DOC nella tipologia “MUFFA NOBILE” si evidenzia che già nel 1933 il Prof. Garavini nella descrizione del vino d’Orvieto così detto “abboccato” fa riferimento agli scrittori italiani di enologia e riporta che alcuni ritenevano più gustoso l’Orvieto dei Sauterns mancando in essi quel sapore di zolfo, che invece si riscontra quasi sempre in questi ultimi.””
Non rimane ora che degustare queste meraviglie. Non crediate che sia così facile. A parte un vino, il più famoso e prodotto in maggiori quantità, gli unici altri tre produttori recensiti dalle guide fanno un prodotto talmente di nicchia che in nessun caso raggiunge una distribuzione a livello nazionale. Bisogna quindi avere la fortuna di conoscere un’enoteca estremamente fornita, o ancora meglio, recarsi sul posto e sperimentare di persona !”

Condividi: