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La Dealcolazione del Vino

Tecniche, Sfide Enologiche e Soluzioni Aromatiche

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La dealcolazione del vino e i vini dealcolati

I vini dealcolati, come vengono prodotti e quali sono le sfide sensoriali legate alla rimozione dell’alcol. Approfondimento sulle tecniche enologiche e sulle strategie per reintegrare gli aromi nel vino senza comprometterne qualità ed equilibrio.


Negli ultimi anni, la presenza dei vini dealcolati e a basso tenore alcolico ha visto una crescita significativa nei mercati internazionali. Questa tendenza riflette l’evoluzione delle abitudini di consumo: maggiore attenzione alla salute, desiderio di moderação e contesti sociali dove l’alcol può risultare inappropriato. Ma un vino dealcolato, dal punto di vista enologico, non è semplicemente un vino senza alcol: è un prodotto che pone interrogativi tecnici, sensoriali e culturali molto più complessi.

Gli aspetti enologici della dealcolazione del vino

L’alcol etilico svolge un ruolo cruciale nella percezione sensoriale del vino. Contribuisce alla dolcezza, alla morbidezza, alla viscosità in bocca e funge da vettore per i composti aromatici. La sua rimozione comporta inevitabilmente una modificazione del profilo organolettico: si attenua il corpo, si accentuano l’acidità e l’astringenza, si riduce la complessità aromatica. Questi effetti non dipendono solo dall’assenza dell’alcol, ma anche dalla tecnica di dealcolazione impiegata.

Tra le più diffuse, troviamo l’osmosi inversa, la distillazione sottovuoto e i sistemi a colonne a membrana. Tutti questi metodi, pur diversi per principio fisico, tendono a rimuovere l’alcol insieme ad alcuni composti aromatici volatili, in particolare esteri fruttati, alcoli superiori e terpeni. Quando il tenore alcolico scende sotto il 3% vol., la perdita di espressività aromatica può superare il 90%. È qui che entra in gioco l’expertise enologica.

Per contenere i danni e recuperare l’equilibrio del prodotto finito, si adottano strategie in due fasi: preventive e correttive. In fase preventiva, l’enologo lavora sull’uva, selezionando varietà ad alta concentrazione di precursori aromatici, usando lieviti specifici e condizioni di fermentazione controllata (basse temperature, macerazioni pre-fermentative, enzimi esogeni). Il risultato è un vino base più ricco e resistente agli stress tecnologici della dealcolazione.

In fase correttiva, si può agire in modo mirato per reintegrare gli aromi persi. Una delle tecniche più raffinate consiste nel recuperare la frazione aromatica prima della rimozione dell’alcol e nel reintrodurla successivamente. Altri approcci prevedono l’aggiunta di aromi naturali identici a quelli originari, oppure l’assemblaggio con mosti d’uva concentrati o succo rettificato, utile anche per ripristinare morbidezza e dolcezza. In ogni caso, l’obiettivo è evitare un effetto artificiale o disarmonico.

Il lavoro enologico non si ferma qui. La rimozione dell’alcol comporta anche una minore stabilità microbiologica: senza l’azione conservante dell’etanolo, il vino dealcolato è più esposto a fermentazioni indesiderate o a contaminazioni acetiche e lattiche. È quindi essenziale l’uso di filtrazioni sterili, solfitazioni precise e confezionamento in atmosfera controllata.

Gli aspetti sensoriali dei vini dealcolati

L’etanolo contribuisce in modo determinante alla sensazione di rotondità e dolcezza, anche in assenza di zuccheri residui, grazie alla sua viscosità e alla sua interazione con la saliva. Quando viene eliminato, l’acidità fissa e volatile (soprattutto nel caso di vini bianchi e rosati) tende ad emergere in modo disarmonico, evidenziando una sgradevole sensazione di durezza. Nei rossi, si avverte un’accentuazione dell’astringenza, dovuta all’assenza del “cuscino” alcolico che normalmente ammorbidisce la percezione tannica. In termini sensoriali, si perde l’equilibrio tra le componenti dure e morbide, rendendo necessario un ribilanciamento mediante interventi compensativi: si può intervenire sulla struttura fenolica, sull’acidità (anche attraverso la scelta del pH in fermentazione) o mediante addizione enologica selettiva.

Sul fronte aromatico e olfattivo, il problema è ancora più delicato. Gli esteri fruttati, i norisoprenoidi, i terpeni liberi e gli alcoli superiori sono tutti composti volatili a bassa soglia di percezione, sensibili a variazioni di pressione e temperatura. Le tecniche di dealcolazione—soprattutto l’osmosi inversa e la distillazione a bassa temperatura—tendono a impoverire il patrimonio aromatico, sia per perdita diretta, sia per modificazioni chimiche dovute all’ambiente in cui avviene il trattamento. È noto, ad esempio, che alcune molecole aromatiche varietali (geraniolo, linalolo, citronellolo) possono essere parzialmente idrolizzate o persino denaturate da variazioni di pressione osmotica o sbalzi termici.

Sul piano sensoriale, il vino dealcolato non va pertanto giudicato secondo i criteri dei grandi rossi da invecchiamento o dei bianchi complessi. Va piuttosto valutato secondo nuove logiche: freschezza, pulizia aromatica, equilibrio tra morbidezze e acidità, persistenza gustativa compatibile con un profilo leggero e accessibile. In questo contesto, il successo non dipende dall’emulazione, ma dalla coerenza: creare un prodotto identitario, anche se privo di alcol.

Il futuro dei vini dealcolati si gioca oggi sull’affinamento delle tecnologie e sulla sensibilità degli enologi nel trattare questi prodotti con lo stesso rispetto riservato a un vino “tradizionale”. Non si tratta più solo di togliere qualcosa, ma di ricostruire un equilibrio che parli di territorio, varietà e scelte stilistiche. E, forse, di nuove forme di piacere.

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